La nascita del governo Letta/Alfano, salutata dal plauso di tutta la borghesia italiana, merita alcune prime considerazioni.
UN GOVERNO PRESIDENZIALE
Il
nuovo governo di “unità nazionale” nasce sotto il segno presidenziale.
Il presidente della Repubblica rieletto lo ha imposto di fatto, ne ha
ispirato la composizione, si pone pubblicamente quale suo protettore e
garante.
Giorgio
Napolitano ha scelto Enrico Letta come Presidente del Consiglio, per
assicurarsi il massimo coinvolgimento politico del PD nel nuovo governo;
e al tempo stesso per premiare un giovane quadro del capitalismo
italiano, già ampiamente sperimentato nei crocevia bipartisan della
seconda Repubblica, particolarmente gradito agli ambienti industriali e
al Vaticano.
I
ministeri chiave del nuovo governo sono di fatto di nomina
presidenziale: Saccomanni, direttore di Bankitalia, all'economia, a
massima garanzia del capitale finanziario italiano ed europeo; Moavero,
tecnico confindustriale montiano, alle politiche comunitarie, quale
garanzia di diretta continuità col governo uscente sulle partite
negoziali in corso con la U.E.; Giovannini, Presidente dell'ISTAT, al
lavoro, come regista “super partes” della nuova concertazione tra
Confindustria, sindacati e banche; Cancellieri, da ministro degli
Interni alla Giustizia, per lavorare da posizione “neutra” alla
“pacificazione” tra Magistratura e Berlusconi, disinnescare mine,
ricomporre l'equilibrio tra i poteri dello Stato; Emma Bonino agli
Esteri, per garantire un sicuro presidio filo sionista (sotto la veste
di un'immagine “popolare”)sul versante del complesso scenario medio
orientale.
Su
tutte le frontiere “critiche” il Lord Protettore Giorgio Napolitano ha
posto l'interesse generale del capitalismo italiano al di sopra del
negoziato privato tra i partiti borghesi. Facendo leva sulla loro crisi e
sulla crisi dei loro rapporti.
EQUILIBRI DI GOVERNO E AFFARI BORGHESI
I
partiti borghesi, dal canto loro, si sono spartiti il resto della
partita ministeriale. Letta Presidente del Consiglio e Alfano vice
presidente, nonché ministro dell'Interno, segnano al massimo livello
l'accordo di governo tra PD e PDL. Al di sotto di questo livello di
rappresentanza, l'equilibrio politico del nuovo esecutivo si regge tra
le seconde o terze file dei due maggiori partiti. Con due elementi di
nota: la sostanziale assenza di ministri di “estrazione PCI/DS” e la
pletora trasversale di ministri cattolici. La prima registra la crisi
verticale del campo bersaniano dentro la disfatta del PD: i gruppi
dirigenti del PCI e la loro “ditta” sono la prima vittima del disastro
della propria creatura. La seconda misura la funzione cerniera del campo
cattolico borghese lungo la linea centrale dell'equilibrio politico, il
suo peso contrattuale nei rispettivi schieramenti, i suoi legami con
potentati borghesi. Lupi a Infrastrutture e Trasporti compensa CL della
caduta di Formigoni, a presidio dell'enorme giro d'affari sull'Expo.
Lorenzin alla Salute onora le proprie relazioni familiari coi vertici di
Farmindustria, e garantisce gli interessi della sanità privata. De
Girolamo all'Agricoltura, più modestamente, riflette i legami filiali
col potente direttore del Consorzio Agrario di Benevento.
Come
si vede i conflitti di interesse, piccoli o grandi, non sono una
prerogativa di Berlusconi, come vorrebbe la letteratura liberal
progressista, ma un connotato fisiologico della vita politica borghese.
Quando Marx parlava del governo come “comitato d'affari della borghesia”
si riferiva alla rappresentanza dell'interesse generale DI sistema. Ma
anche alle miserie correnti dei mille interessi particolari NEL sistema.
GRANDE CAPITALE E PARTITO DEMOCRATICO
Il
grande capitale è il mandante diretto del nuovo governo dell'unità
nazionale. Come lo fu del governo Monti nel novembre del 2011.
Non
era questo il suo disegno. Dopo l'esperienza del governo “tecnico” la
grande borghesia puntava su un equilibrio politico basato sull'incontro
tra PD e Monti, dentro la ricomposizione di una dialettica bipolare
rifondata che emarginasse ruolo e peso di Berlusconi ( apparentemente
“finito”). La sconfitta elettorale del centrosinistra, lo sfondamento
populista a 5 Stelle, il recupero politico di Berlusconi, la
precipitazione senza rete della crisi politico istituzionale, hanno
totalmente ribaltato il quadro. Dal 26 Febbraio tutti i poteri forti
hanno visto nell'unità nazionale l'unico possibile sbocco della crisi
politica. Per questo hanno accompagnato con scetticismo e persino
sarcasmo i tentativi di Bersani di sfuggire alla propria sconfitta. E
per questo hanno salutato con entusiasmo la rielezione di Napolitano e
la formazione del nuovo governo di “pacificazione”.
Dopo
mille drammatiche convulsioni, il PD e tutte le sue componenti
fondamentali si sono infine allineati al volere del grande capitale.
Nella drammatica emergenza capitalistica del novembre 2011 fu il grande
capitale industriale e bancario a chiedere al PD di non andare al voto, a
favore della soluzione Monti: e Bersani rinunciò ad una vittoria
elettorale certa proprio in virtù della dipendenza PD dalle scelte e
necessità del capitale. Oggi, nella drammatica emergenza politico
istituzionale di questi mesi, è ancora una volta la pressione del grande
capitale a riallineare alla fine tutto il PD attorno all'unità
nazionale: sino a imporgli la sconfessione pubblica di un'intera
campagna elettorale e l'umiliazione penosa del gruppo dirigente. Oggi
come ieri, l'interesse generale della borghesia italiana prevale
sull'interesse particolare di partito. La natura borghese del PD, se ve
ne era bisogno, è confermata nel modo più clamoroso dall' intero
svolgimento politico dei due ultimi anni. Contro tutte le illusioni di
un suo possibile condizionamento a sinistra.
GOVERNO MONTI E GOVERNO LETTA
Il
nuovo governo non è e non sarà la semplice continuità del governo
Monti. Medesima è la maggioranza politica che lo sostiene, seppur ora in
forma esplicita e non più mascherata. Ma diversa è la sua funzione,
perchè diverso è il contesto.
Il
governo Monti nacque alla fine di una legislatura berlusconiana, nel
momento di massima crisi economico finanziaria del capitalismo italiano,
col compito di tamponare l'emergenza con misure urgenti di impatto
brutale ( distruzione delle pensioni d'anzianità, età pensionabile a 70
anni, smantellamento dell'articolo 18): misure che non avrebbero potuto
adottare con le proprie forze né un governo Berlusconi in agonia, né un
governo Bersani/Vendola; e che richiedevano dunque la supplenza
temporanea dei grandi “tecnici” del capitale.
Il
governo Letta Alfano nasce al piede di partenza della legislatura, nel
momento della massima crisi politico istituzionale della seconda
Repubblica. Ha il compito di amministrare l'eredità e la continuità
delle politiche di Monti sul terreno dell'attacco alle condizioni del
lavoro e alle prestazioni sociali. Ma ha anche il compito di inquadrare e
stabilizzare le politiche di sacrifici in un nuovo contesto. Deve
consolidare un quadro stabile di concertazione sindacale, che recuperi
organicamente la CGIL al fianco di CISL e UIL. Deve cercare di riaprire
parallelamente uno spazio di negoziazione in Europa sul Fiscal Compact e
le politiche di bilancio che consenta un margine di manovra più ampio (
anche e innanzitutto per dare più soldi ai capitalisti). Deve avviare
una vera riforma istituzionale e costituzionale che miri a dare al
capitalismo italiano un quadro certo di governabilità, sullo sfondo di
una crisi capitalistica nazionale ed europea che è ben lungi dall'essere
superata( “Convenzione per le riforme istituzionali”). L'avanzata delle
posizioni presidenzialiste in campo borghese si colloca in questo
quadro.
Nel
suo insieme il programma del nuovo governo è quello di una
stabilizzazione capitalista sul fronte sociale e della transizione alla
Terza Repubblica sul fronte politico.
INCOGNITE POLITICHE E CRISI DI CONSENSO
Ma
questo programma ambizioso deve fare i conti con molte difficoltà, su
un terreno politico ancora scosso, e segnato da numerose incognite (
sviluppi della crisi del PD, vicende giudiziarie di Berlusconi..). E
sopratutto deve misurarsi con l'assenza di spazi materiali significativi
sul terreno del recupero del consenso sociale; con la presenza di forti
contraddizioni nei compositi blocchi sociali di riferimento i partiti
che lo sostengono; col rischio, in particolare, di una ripresa reale
dell'opposizione sociale e di massa.
Il
governo cercherà di prevenire e ridurre questo rischio con qualche
iniziale concessione che provi a dare l'immagine di “una nuova
stagione”( come sull'IMU). Così produrrà qualche fatto simbolico sul
terreno dei cosiddetti “costi della politica”( stipendi, vitalizi,
numero dei parlamentari, rimborsi elettorali..), per mascherare la
continuità dei sacrifici sociali per le grandi masse: a riprova del
fatto che il populismo rappresenta a tutti gli effetti uno strumento di
conservazione dell'ordine borghese e di protezione delle sue politiche
di rapina.
Ma gli strumenti di distrazione di massa non sono infiniti. E possono rivelarsi effimeri.
LO SPAZIO POLITICO DELL'OPPOSIZIONE SOCIALE
C'è
una differenza importante, dal versante della percezione di massa, tra
la genesi del governo Monti e la genesi del governo Letta Alfano. Il
governo Monti beneficiò al piede di partenza di alcuni fattori
favorevoli. In primo luogo dell'effetto “liberatorio” della caduta di
Berlusconi presso un'ampia fascia di opinione pubblica democratica . In
secondo luogo del fatto di essere un governo “senza partiti” nel momento
del loro massimo discredito agli occhi di grandi masse popolari. Ciò
consentì al governo di intraprendere la propria offensiva antioperaia e
antipopolare in un quadro segnato da un senso comune popolare
inizialmente non ostile. Su cui peraltro si appoggiò la stessa
burocrazia CGIL per coprire la rapina sulle pensioni, a vantaggio del
PD. Un PD a sua volta tonificato dagli anni di opposizione a Berlusconi.
Oggi il decollo del nuovo governo avviene su uno sfondo molto diverso. E meno “protetto” nel rapporto di massa.
I
partiti che si alleano al governo attorno a Letta hanno perso nel loro
insieme 11 milioni di voti dal 2008. I lunghi anni della crisi
capitalista e l'esperienza comune del sostegno a Monti per ben due anni
ne hanno sfibrato ulteriormente credibilità e forza. In più il popolo
della sinistra è ampiamente traumatizzato e scosso dal “ritorno di
Berlusconi” al governo e da un quadro di unità nazionale che lo stesso
PD aveva chiamato a superare e a respingere: da qui un sentimento
diffuso a sinistra di estraneità o di rigetto.
La
burocrazia CGIL (nuovamente spiazzata dal mancato appuntamento
concertativo con l'agognato governo di centrosinistra) si aggrappa in
mancanza di meglio al nuovo governo e alla ritrovata intesa con CISL e
UIL, candidandosi più direttamente di ieri a copertura di un PD allo
sbando, e dunque a scudo del governo. Ma sarà dura coprire la continuità
dei sacrifici, senza risultati, e dentro una recessione che permane.
Da qui il “rischio” serio di una radicalizzazione sociale.
E'
il vero timore dei circoli dominanti. La reazione corale di sistema
agli sventurati colpi di pistola di piazza Montecitorio, all'insegna del
“stringiamoci a corte” contro chi “aizza la piazza”, non ha alcun
rapporto logico con l'episodio in sé: riflette invece la volontà di
disarmare preventivamente l'opposizione di massa, di intimidirne le
ragioni, di disinnescare ogni possibile dinamica di ribellione. Quando
Napolitano evoca il rischio di “una piazza contrapposta alle
istituzioni” confessa la paura della borghesia italiana.
Le opposizioni parlamentari lavorano contro la radicalizzazione sociale.
Il
M5s di Grillo e Casaleggio cercherà di capitalizzare le politiche
dell'unità nazionale a vantaggio del proprio progetto (reazionario) di
Repubblica plebiscitaria. Che è contro il movimento operaio.
Sinistra
e Libertà si attesterà sull'opposizione “costruttiva” per salvaguardare
la prospettiva di una ricomposizione col PD in occasione delle future
elezioni politiche.
Il
PCL lavorerà per l'unificazione delle lotte sul terreno di
un'opposizione radicale e di massa che miri alla cacciata del governo
Letta/Alfano/Napolitano. Solo un'esplosione sociale radicale guidata dal
movimento operaio può dare una soluzione progressiva alla crisi
italiana aprendo dal basso un nuovo scenario politico. Solo la rottura
di ogni cordone ombelicale col PD, e il rifiuto di ogni subordinazione
al qualunquismo populista, possono liberare la via della ribellione di
massa. Lavorare all'innesco della ribellione, dare ad essa una coscienza
anticapitalista, indicare nel governo dei lavoratori l'unica vera
alternativa per gli sfruttati: questa è tanto più oggi la politica del
PCL, e lo strumento della sua stessa costruzione e radicamento.