IL COSTO DEL LAVORO, IL RENZISMO E IL VICOLO CIECO DELLA BORGHESIA





“Ciò che conta non è cosa questo o quel proletario o anche tutto il proletariato si rappresenta temporaneamente come fine [...] ciò che conta è cosa esso sarà costretto storicamente a fare in conformità a questo suo essere”
(Karl Marx)

La storia dell’Europa occidentale degli ultimi trentacinque anni è la storia dell’attacco permanente contro il salario. Contro il salario diretto, attraverso l’inflazione e l’iperinflazione. Attraverso l’outsourcing, i contratti flessibili e le deroghe peggiorative del Contratto Collettivo Nazionale. Attraverso il lavoro nero sistematico nei settori primario e terziario dell’economia. Attraverso gli accordi contrattuali nazionali, territoriali e aziendali al ribasso, gestiti dal sindacalismo neocorporativo. Il fascismo italiano ha istituito il corporativismo con l’uso della forza, della coercizione. Le democrazie liberali hanno istituito il neocorporativismo con l’uso dei privilegi e delle carriere amministrative, parlamentari, ministeriali e societarie dei burocrati e dei dirigenti sindacali espressioni delle sempre più ristrette aristocrazie salariate alimentate dagli extra-profitti imperialistici. Il sindacato cessa di essere la società commerciale (Trade Union) per la vendita collettiva della forza lavoro al prezzo più alto e si trasforma in un organo dello Stato e della borghesia per la gestione delle relazioni di lavoro.
Contemporaneamente, l’attacco permanente è diretto contro il salario indiretto e contro il salario differito. Contro il salario indiretto attraverso la riduzione quantitativa e qualitativa dei servizi sanitari pubblici, attraverso la sottrazione di risorse per la scuola e l’università pubbliche, attraverso la privatizzazione dei mezzi del trasporto collettivo e la gestione privata o privatistica in mano pubblica degli asili e di altri servizi sociali. Il tramonto del Welfare State, salutato dall’ideologia egemone come l’avvicendamento di modelli sociali successivi, altro non è che il riposizionamento nella lotta di classe tra borghesi e proletari.
L’attacco permanente contro il salario differito è compiuto attraverso la graduale abrogazione de facto della pensione di anzianità e attraverso il continuo allungamento dell’età per la pensione di vecchiaia. Nel XIX secolo, il capitalista aveva nella durata del giorno solare un limite fisico all’aumento della giornata lavorativa a salario invariato, che è una delle due forme di aumento assoluto del plusvalore. Negli ultimi trentacinque anni, dopo un secolo di lotte e di conquiste di diritti pensionistici, l’allungamento dell’età pensionabile è diventato il mezzo per aumentare il tempo di lavoro a salario invariato (somma di salario diretto e differito), il mezzo per l’aumento assoluto di plusvalore. Tutte le controriforme europee in materia pensionistica degli ultimi decenni rappresentano il più grande aumento assoluto di plusvalore della storia del capitalismo. E’ in questo modo che il capitalismo agonizzante sopravvive a se stesso.
Le basi materiali dell’attacco permanente contro il salario sono: 1) la caduta tendenziale del saggio di profitto; 2) l’accresciuta concorrenza all’interno del proletariato mondiale, determinata dalla restaurazione del capitalismo in Europa orientale, Russia e Cina e dalla diffusione del capitalismo nelle aree geografiche arretrate; 3) la disoccupazione di massa e aciclica, determinata dall’aumento della composizione organica del capitale (macchinismo, robotica), dalla tendenza molecolare alla sovraproduzione e dalla sua esplosione in crisi di recessione da sovraproduzione.
Dopo trentacinque anni di attacco permanente contro il salario, i principali organi di stampa borghese, dall’Economist al Corriere della sera, e le principali istituzioni imperialistiche, dal FMI alla BCE, ripetono costantemente che l’unica exit strategy dalla crisi è la riduzione del costo del lavoro, la riforma strutturale del mercato del lavoro. E’ la confessione borghese che il capitalismo decadente può sopravvivere solo strangolando costantemente il salario. Ma non è solo una confessione. E’ la manifestazione pubblica della volontà padronale di passare dalla guerra di posizione alla guerra di movimento. Per trentacinque anni, i padroni europei hanno avanzato lentamente, gradualmente, trincea dopo trincea e i lavoratori arretravano, perdendo tutte le posizioni prima conquistate. Ma la profondità della crisi capitalistica e l’accresciuta concorrenza interimperialistica spingono i padroni ad uscire dalle trincee per un assalto veloce e concentrato contro i lavoratori. Per la borghesia europea la guerra d’assalto contro il salario è diventata una necessità impellente. Per la borghesia italiana è una questione di vita o di morte. E’ in questo contesto che si inserisce la vicenda Electrolux, che è solo emblematica di una serie di vicende interrelate; ed è in questo contesto che si inserisce il renzismo. Partiamo da quest’ultimo.
Attraverso i gruppi industriali e finanziari riuniti nella Fondazione Big Bang e intorno ad essa, Matteo Renzi ha conquistato la direzione del Partito Democratico, ne ha rinnovato il gruppo dirigente e ha conquistato tutte le principali posizioni nel sistema borghese dei giornali e delle televisioni. Il ricambio generazionale dell’establishment italiano è un elemento centrale del renzismo, ma non è il suo fine. Questo ricambio generazionale è un mezzo, è la fase della difensiva strategica, dell’accumulazione delle forze, della conquista delle trincee da cui poi levarsi per lo sfondamento strategico: l’attacco frontale contro la classe lavoratrice, contro il salario e le condizioni di lavoro. Il giovanilismo e l’ostentato rampantismo ne sono la cornice morale. Il collateralismo berlusconiano è in funzione tattica, ma al contempo ne prefigura il fine regressivo. Il ricambio generazionale dell’establishment per il momento è un fatto compiuto per il Partito Democratico, ma rimane ancora una prospettiva per la stampa, la televisione, l’industria e la finanza. Giovani editori, giovani giornalisti e giovani manager dei grandi gruppi industriali e finanziari occupano le posizioni intermedie dei rispettivi organigrammi e sono pronti a scalare i vertici, con metodi diversi ma con lo stesso tessuto morale de “La caduta degli dei” del grande regista. Anche da queste dinamiche dipenderà lo sbocco dell’attuale equilibrio tattico tra Renzi e Letta.
Ma il padronato italiano non può attendere, deve assolutamente attaccare in modo frontale. Electrolux tenta di dare l’inizio all’assalto. I padroni si muovono in ordine sparso, stabilimento per stabilimento, gruppo societario per gruppo societario, territorio per territorio. E in ordine sparso tentano lo sfondamento strategico. In attesa che l’inevitabile ricambio di governo fornisca organicità all’attacco. Così come la direzione rivoluzionaria del movimento operaio ha la funzione di generalizzare e far avanzare le lotte, così il padronato si attende dalla nuova direzione renziana un progetto di generalizzazione e stabilizzazione organica dei singoli sfondamenti strategici che ora si tentano stabilimento per stabilimento.
Dopo trentacinque anni di attacco permanente contro il salario, trincea dopo trincea, ora il padronato vuole tentare l’assalto, in attesa che Renzi salga a Palazzo Chigi per completare l’azione di sfondamento contro la classe lavoratrice. I campioni di filisteismo, Camusso e Landini, faranno di tutto per organizzare anche questa sconfitta del movimento operaio. Sciopero a oltranza, comitato di sciopero, cassa nazionale di resistenza e occupazione degli stabilimenti, sono gli strumenti che abbiamo per difendere l’autonomia della classe dalle burocrazie sindacali neocorporative. Ripeteremo queste parole d’ordine fino alla nausea, perché in esse è condensata  l’esperienza storica del movimento operaio e perché essi sono gli strumenti per vincere.
Ripeteremo queste parole d’ordine e infonderemo alla classe operaia la massima fiducia in se stessa. Perché la borghesia ha il panico, è spaventata a morte dalla crisi che non riesce a superare. La borghesia è consapevole o almeno percepisce di essere in un vicolo cieco. Deve attaccare il salario e le condizioni di lavoro per azionare la principale causa antagonistica della caduta tendenziale del saggio di profitto. Ma ogni Paese che riduce il costo del lavoro, è immediatamente superato dal Paese concorrente che riduce il costo del lavoro a un livello ancora inferiore. E’ un processo continuo, che il capitalismo non può arrestare. Ogni capitalista, ogni gruppo di capitalisti, ogni Paese, ogni gruppo di Paesi, agisce alla cieca attaccando il salario, ma tutti insieme ottengono un risultato non voluto: la compressione salariale di ciascuno determina la compressione generale della capacità sociale di consumo, della domanda sociale solvibile di beni e servizi. Dal caos delle azioni innumerevoli dei capitalisti esce inevitabile l’accelerazione della tendenza al sottoconsumo, che è l’altro lato della sovraproduzione. Per recuperare il saggio di profitto, è aggravata la sovraproduzione. Per uscire dalla crisi si aggrava la fonte della crisi. La politica della riduzione del costo del lavoro è il piano inclinato sopra il quale il capitalismo scivola da una crisi a un’altra crisi sempre più violenta e sempre più autodistruttiva. E questo processo continua fino a costringere il proletariato a prendere coscienza della necessità della rivoluzione sociale.  
Sarà una classe sociale storicamente giovane, e non un giovane uomo politico, a cambiare verso a questo Paese e all’Europa. Sarà una nuova classe sociale al potere, e non un nuovo Presidente del Consiglio della vecchia classe sociale parassitaria. Sarà la classe lavoratrice, scossa dagli eventi e diretta dal Partito Comunista, a cambiare le cose.
Assume allora un’urgenza drammatica il compito storico della costruzione del Partito Comunista, come Partito di militanti che si elevano costantemente per diventare scienziati e, al tempo stesso, combattenti.

PCL Pistoia

LA PENSIONE A 60 ANNI E IL REALISMO DEI LIBERALI



Molto tempo prima che Renzi e il nuovo Partito Democratico appiccicassero, tra l’altro impropriamente, una locuzione anglosassone sulle peggiori controriforme europee in materia di lavoro degli ultimi vent’anni, dal blairismo all’Agenda 2000 della SPD, il Partito Comunista dei Lavoratori ha presentato il proprio piano europeo per il lavoro.
Tra le nostre rivendicazioni, avanziamo il diritto universale alla pensione di vecchiaia al raggiungimento dei 60 anni di età, per donne e uomini, nativi e migranti, con la possibilità di finestre anticipate per i lavori usuranti. A questo punto, una folta schiera di professori liberali di economia e sociologia, di governanti riformisti, di tecnocrati europei si affannano a salire in cattedra per dispensarci il loro preteso realismo, pronti a spiegarci che la nostra proposta è semplice demagogia, che non è realizzabile, che siamo solo dei residui ideologici del Novecento, accaniti estremisti, attaccabrighe della politica, che la pensione a 60 anni non è sostenibile dal bilancio statale, che produrrebbe un enorme deficit, che le finanze dell’INPS sono già al limite, che non ci sono le risorse e così via con altre simili panzane.
Per questi signori, la realtà comincia alla prima pagina del bilancio dello Stato e termina all’ultima pagina; per i nostri riformisti, Piazza Montecitorio e Palazzo Chigi sono il centro dell’universo e per i tecnocrati UE il sole ruota attorno alla Banca Centrale di Francoforte. In realtà sono solo contabili da quattro soldi. Così come nel Medioevo, i prodotti della terra erano concepiti come una manifestazione della bontà divina, oggi, questi signori concepiscono la pensione come una somma di denaro da far uscire dal bilancio pubblico, dalla fiscalità generale (sistema retributivo) o dai contributi tesaurizzati degli occupati (sistema contributivo)  o da entrambi (sistema misto). Quindi ricercano le risorse per le pensioni nei bilanci dello Stato e della previdenza sociale, questa è la loro angusta, limitata realtà.
Invece, noi guardiamo fuori dagli uffici e dai libri contabili, noi guardiamo nel mondo della produzione materiale e dei rapporti di produzione tra gli uomini e tra le donne, perché la pensione è una quantità di beni e servizi che il pensionato consuma per mantenersi in vita nelle condizioni socio-culturali storicamente determinate. Oggi, in tutto il mondo, esistono le condizioni tecnologiche, produttive e sociali per produrre i beni e i servizi funzionali alla sussistenza fisiologica e culturale di tutti gli e di tutte le, oversessantenni del mondo. Ma queste condizioni, queste straordinarie potenzialità produttive sono soffocate dai rapporti capitalistici di produzione. Centinaia di milioni di lavoratori capaci di produrre quei beni e quei servizi, sono costretti alla disoccupazione, perché nessun capitalista è capace di impiegarli per un congruo profitto. Macchinari e impianti tenuti spenti o sottoutilizzati, interi stabilimenti industriali con le più moderne tecnologie sono chiusi, in attesa di un improbabile rialzo del saggio di profitto. Materie prime ferme nei magazzini. Non si produce, non per la mancanza di fattori produttivi, ma per la insufficiente prospettiva di profitti determinata dalla sovraproduzione verso cui il capitalismo tende costantemente per sua stessa ineliminabile natura. Nel capitalismo non si produce in presenza di un bisogno: si produce solo in presenza di un profitto. Esistono le forze produttive per soddisfare tutti i bisogni dell’umanità, ma queste forze produttive sono costrette all’inattività perché sono controllate da un manipolo di industriali e di banchieri, in ultima analisi agenti dei loro capitali in cerca di profitti. Non solo. Da una parte la fame, dall’altra ogni giorno i supermercati distruggono tonnellate di frutta e verdura per tenerne alti i prezzi di vendita; e allevatori distruggono litri e litri di latte per la stessa ragione speculativa e la UE macella mucche per impedire che si produca troppo latte. Non troppo per i bisogni dell’umanità, ma troppo per le ragioni del profitto. Questo è il capitalismo nella sua fase irreversibile di putrefazione.
Il capitalismo è stato il sistema più rivoluzionario di tutta la storia, ha sviluppato le forze produttive più di ogni altro sistema economico precedente e ha avuto il merito storico di creare un’unica economia mondiale. Ma facendo questo, ha prodotto forze produttive che non è più in grado di controllare,  e tutto il suo potenziale produttivo può tradursi in un potenziale distruttivo contro la natura, contro l’umanità e la sua cultura. Da tempo il capitalismo è entrato nella sua fase senile e deve essere sostituito da un sistema superiore. O il proletariato libera le forze produttive dalle catene capitaliste e apre una nuova fase storica di progresso umano, oppure queste catene capitaliste impedendo l’ulteriore sviluppo delle forze produttive, ricacceranno sempre più l’umanità nella barbarie.
Il bivio storico tra rivoluzione e reazione è il bivio storico tra economia pianificata e anarchia del mercato, tra proprietà sociale e proprietà privata dei mezzi di produzione e di scambio.

A questo punto, tornano i nostri professori liberali e i nostri riformisti. Fallita la lezione di realismo, ora si arrangiano invocando la morale. Ci accusano di attentare alla libertà di impresa, al libero mercato. Certo, attentare alla libertà di impresa e al libero mercato, è la nostra ragione di vita, la nostra missione storica. Noi vogliamo distruggere la libertà di impresa grande, media e piccola che costringe all’inattività milioni di disoccupati in tutto il mondo, e vogliamo distruggere il libero mercato che impedisce a milioni di famiglie di andare al mercato a fare la spesa, di accedere alle migliori cure sanitarie e di avere la migliore istruzione.
Smontato il  loro preteso realismo economico e respinta al mittente la loro morale interessata, ai nostri liberali non resta che la stanca litania con cui negli anni Novanta i filistei di ogni latitudine si sono costruite carriere accademiche, editoriali e politiche: “il comunismo ha avuto la sua occasione e ha fallito”. Per questi signori la dialettica è solo la capacità di parlare bene, quindi facciamola semplice e veloce. Nel corso di tutta la storia umana, il comunismo è esistito soltanto nelle società primitive matriarcali che gli studiosi hanno scoperto durante la seconda metà del XIX secolo. Il successivo sviluppo delle forze produttive dissolse quelle società e diede origine alla divisione in classi.  Nel corso del Novecento molti hanno tentato l’assalto al cielo, nessuno lo ha toccato. In Russia non c’è mai stato il comunismo, come in nessun’altra parte del mondo. La rivoluzione russa rimase isolata per la mancata rivoluzione in Germania e in Italia: il proletariato russo isolato arretrò e una casta burocratica parassitaria nata dalla rivoluzione usurpò al proletariato il potere politico e la gestione democratica dei mezzi di produzione. Il capitalismo fu estirpato, ma la transizione al socialismo rimase bloccata da questa dinamica reazionaria burocratica. Lo Stato operaio divenne
uno Stato operaio burocraticamente degenerato e la burocrazia che assunse il controllo della pianificazione produttiva reintrodusse i rapporti borghesi di distribuzione all’interno di un sistema economico a industrialismo di Stato. Forte di questi rapporti borghesi di distribuzione, la burocrazia nei decenni successivi divenne sempre più privilegiata fino a restaurare il capitalismo divenendo nuova borghesia.
Il comunismo non è il passato di una nazione: è il futuro dell’umanità. 

PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI – sezione di  PISTOIA

#VELAFAREMOPAGARE: ENNESIMO OMICIDIO BIANCO A FIRENZE

L'ennesima tragedia sul lavoro si è consumata a Firenze. Un operaio di 34 anni ha perso la vita stanotte, mentre era di servizio alla stazione di SMN. Era da solo, senza colleghi che potessero aiutarlo e senza le protezioni necessarie. Trenitalia ha subito espresso il proprio cordoglio e il proprio stupore, come se per la prima volta si accorgesse della carenza di personale e della mancanza di efficaci misure di sicurezza. 
La stessa Trenitalia che licenzia gli operai che ne denunciano le criticità e l'assenza di controllo ha aperto un'inchiesta interna, che vi preannunciamo finirà con tante pacche sulle spalle e innumerevoli messaggi di vicinanza alla moglie e al figlio di Fabrizio, ma senza un colpevole. 
Noi denunciamo pubblicamente i colpevoli, Moretti in primis, i nuovi padroni privati delle ferrovie e tutti quei dirigenti e manager con le tasche gonfie che sfruttano il lavoro e le vite dei lavoratori, senza assicurare livelli minimi di sicurezza. 
La degenerazione di Trenitalia riflette quella di un paese allo sbando, concentrato sul tiraemolla tra un politicante e l'altro, tra l'ascesa e il declino di stelle già marce. Noi proponiamo la nostra via d'uscita anticapitalista per il governo dei lavoratori a tutti i livelli contro la logica dei super-manager. 

Partito Comunista dei Lavoratori - Firenze

RENZI E IL LAVORO: ECCO IL NOSTRO "JOB ACT"


In questi giorni il neo segretario del PD Renzi ha lanciato la campagna mediatica intorno al " job act" ovvero il piano per il lavoro proposto dal suo partito. 
Questo piano, che si inserisce pienamente nel solco delle varie riforme di precarizzazione del lavoro ( dal pacchetto Treu alla legge Biagi), non solo non segna nessun punto di rottura col passato ma, anzi, rischia di rimanere solamente un proclama e una mossa mediatica priva di contenuto. 
A ben guardare nel " job act" targato Renzi di lavoro si parla ben poco. Si parla molto, invece, di sgravi alla piccola impresa, di fatturazione on line e sussidi di disoccupazione. Insomma, solamente un paravento, mutuato dai 5 stelle per recuperare consensi in quell'area. 
A presentare un " Job Act" serio, a questo punto, ci pensiamo noi del PCL: 
1. Blocco immediato di tutti i licenziamenti a qualsiasi livello 
2. Abolizione del precariato ( legge Biagi e similari) 
3. Assunzione di tutti i precari a tempo indeterminato. 
4. Riduzione dell'orario di lavoro a 6 ore giornaliere a parità di paga. 
5. Ridistribuzione del lavoro che c'è tra tutti i lavoratori. 
6. Abbassamento dell'età pensionabile a 60 anni per tutti. 
7. Permesso di soggiorno per tutti i lavoratori migranti. 
8. Ripristino immediato di tutti i diritti sindacali ( art. 18) ed estensione degli stessi a tutti i lavoratori. 
9. Abolizione del debito Pubblico ( 2000 miliardi ) e nazionalizzazione delle banche e delle grandi aziende ( FIAT, TELECOM, GRUPPO RIVA ECC..) 
10. Investimenti di 90 miliardi l'anno in opere socialmente utili ( bonifica dei territori, ristrutturazione edifici pubblici, istruzione e cultura ecc..). 
Su questi punti sfidiamo alla discussione, non solo Renzi, ma tutte le sinistre politiche e sindacali a partire dalla CGIL che svolge in questi giorni il suo congresso. 

Pcl Toscana

VIDEO INTERVISTA DEL FATTO QUOTIDIANO



Durante il 3° congresso del Partito Comunista dei Lavoratori, il Fatto Quotidiano intervista i compagni Francesco Doro, Tiziana Mantovani, Nicola Sighinolfi e Marco Ferrando.