Capitalismo de-genere

 
 
In merito alla terribile e attualissima questione della violenza di genere, ci preme intervenire nel dibattito proponendo una riflessione che parta da presupposti materialisti, storici e comunisti.

Il nostro manifestare e mobilitarci contro la violenza sulle donne parte da un punto di vista classista, poiché riteniamo che il genere e la classe non siano categorie necessariamente escludenti. E' ben chiaro che la violenza di genere si esprime in modo generalizzato e univoco dagli uomini verso le donne, ma l'origine di questa vessazione non si risolve ricercando una natura psicologica (e meno che mai “patologica”) di un presunto comportamento maschile astratto e non storicizzato. Tale violenza permea tanto i quasi impercettibili aspetti della nostra esistenza quotidiana, manifestandosi come disparità nei rapporti familiari o discriminazione nel mondo del lavoro e nella sfera della salute (il banalissimo esempio della libera costruzione della propria sessualità, dell'accesso agli anticoncezionali o all'aborto sono solo la punta dell'iceberg), fino ad arrivare a espressioni più estreme e crude come lo stupro, la violenza domestica e l'omicidio.

La storia dei rapporti tra i generi si intreccia in modo indissolubile con lo sviluppo della divisione sociale del lavoro e dunque con la costruzione delle sovrastrutture sociali che la nostra storia come umanità ha conosciuto. Per questo la violenza di genere è una costante attraverso diverse epoche, perché la storia umana è la storia di società divise in classi in cui una parte della società ne opprime un'altra e non in virtù di categorie non storiche che si pretenderebbero insite in astratte "nature" maschili o femminili. Il patriarcato è un abito che molteplici forme di organizzazione sociale hanno indossato con comodità e piacere (ma non per questo è universale), compresa la società attuale del capitalismo, proprio perché nato in legame con la divisione in classi della nostra società. Una riflessione sulla violenza di genere dunque non può prescindere da una analisi storica e critica della famiglia e di tutte le strutture sociali in generale (Chiesa e altre istituzioni religiose, Stato, ma anche la scuola, partiti ecc.).
Nella nostra prospettiva il principio della violenza, tanto di genere quanto di classe, risiede nella proprietà privata ed è principalmente da essa che scaturisce. In questo senso, se la donna è proprietà dell'uomo, se è dunque un suo "oggetto", egli cercherà di disporne come vuole, con tutte le conseguenze che ci sono ben evidenti oggi. La violenza di genere non si risolve dunque "mettendoci la faccia" o chiedendo agli uomini di essere genericamente "migliori" ma includendo l'analisi femminista ad una prospettiva comunista di trasformazione strutturale e radicale della società. La società capitalista è una società di violenza istituzionalizzata in cui una minoranza esigua della popolazione espropria la maggioranza giorno dopo giorno costruendo su questo abuso la propria ideologia e morale. Questo tipo di società non è in grado di riformarsi in nessuno dei suoi aspetti, perché è costruita sulle fondamenta essenziali del profitto e della proprietà privata. E' di conseguenza del tutto inconciliabile con la liberazione dall'oppressione di genere, perché le sue radici affondano in quella divisione sociale del lavoro che ha origine anche nella nascita storica della famiglia e nella divisione di genere dei compiti sociali.

Solo la conciliazione di una prospettiva femminista di liberazione della donna e delle minoranze di genere oppresse con la prospettiva generale della sollevazione degli sfruttati, degli espropriati, del mondo del lavoro contro la classe padronale può creare i presupposti reali della costruzione di una società senza divisione di classi, senza oppressioni, diseguaglianze e discriminazioni, e nell'alveo di questo processo storico, costruire nuovi rapporti sociali, che sono innanzitutto nuovi rapporti umani.
 
PCL PISA

SVEGLIA, COMUNISTI!!!!

 
 
Vorrei invitare ad una riflessione generale, che da parte mia ritengo molto opportuna e importante, tutti quei compagni e quelle compagne che commentano sui vari social network, anche giustamente in maniera estremamente critica, i fatti politici e la cronaca che purtroppo vedono i lavoratori soccombere, anche in senso fisico, alla violenza del potere isituzionale borghese.

Ma insomma, per favore, care/i compagne/i.
Quando cominceremo finalmente tutti a "leggere" le cose, i fatti reali, con gli "occhi" dei comunisti, dei marxisti rivoluzionari e non con quelli, deformati e interessati, degli opportunisti, dei media e della stampa borghese.
È in atto da anni una teorizzata e praticata vera e propria lotta di classe da parte della borghesia capitalista e finanziaria contro la classe nemica da lei stessa storicamente prodotta: cioè il proletariato (nel senso della classe operaia, in senso lato).
Il tragico dramma è che si tratta di una lotta unilaterale. Nel senso che agli attacchi concreti, durissimi e senza limite della "borghesia" – condotti con l'appoggio della forza e della brutalità della repressione poliziesca e giudiziaria delle istituzioni borghesi – non corrisponde un'adeguata risposta di classe da parte del "proletariato".
Il Sindacato (inteso soprattutto come espressione dei suoi Gruppi Dirigenti) – in tutte le sue innumerevoli rappresentazioni– non è più in grado, per limiti soggettivi, tattici e strategici propri, di costituire un credibile antagonismo, fosse pure non di classe, allo strapotere del potere istituzionale borghese. D'altronde da molto tempo ormai questo Sindacato ha surrogato anche il ruolo di antagonista che i partiti della sinistra, compresi quelli della cosiddetta sinistra radicale – in termini di classe –, avrebbero dovuto svolgere.

"Che fare?" Occorre ricostruire, riappropriarsi, di una coscienza di classe. E con questa, e con la consapevolezza e la determinatezza che da essa ne deriva, ricominciare a lottare in ogni ambito della vita sociale. Dalla più banale alla più complessa.
Più semplicemente: nel vivere comune, nel semplice rapportarsi con gli altri, nell'analisi dei fatti, occorre ragionare in termini di classe. In qualunque circostanza, anche quelle che possono apparire banali e meno signiificative (sport, svaghi, ecc. ecc.).
Una coscienza di classe che non può prescindere da una formazione culturale marxista. Da troppo tempo, una caratteristica di tanti pseudo-comunisti è che non hanno mai letto una riga di Marx, di Engels, di Lenin, di Trotsky, ecc. ecc., o lo hanno fatto in maniera estremamente superficiale. Del marxismo conoscono semmai gli aspetti più confacenti ad una lettura borghese, come mirabilmente denuncia Lenin nell'incipit del suo illuminante "Stato e Rivoluzione".

Ma questa coscienza di classe, arricchita e consolidata con questa cultura marxista, questa consapevolezza, e dunque, questa volontà di lottare e vincere contro il nemico di classe, non può che cementificarsi all'interno di un Partito Comunista che abbia come unico obiettivo strategico non il "superamento", in chiave riformista, ma l'"abbattimento", in chiave rivoluzionaria, del sistema capitalistico. Senza compromessi tattici con il potere borghese, come da troppo tempo ormai, anche la sinistra cosiddetta radicale, in tutte le sue articolazioni anche movimentistiche, di fatto, sta facendo in maniera più o meno subdola.

E qui subentra il ruolo di un Partito anticapitalista, non interclassista, ma dichiaratamente e fattivamente di classe: cioè di un Partito Comunista marxista e rivoluzionario.
Il Partito Comunista dei Lavoratori – l'unico che non si è mai compromesso con il potere politico/istituzionale borghese, nè a livello periferico nè tantomeno a livello centrale – si propone come punto di riferimento per tutti coloro che lottano per abbattere il potere dittatoriale della borghesia capitalistica e finanziaria e instaurare un nuovo potere di classe, su basi socialiste, in una prospettiva comunista.

Rafforzare con ogni mezzo e in qualunque circostanza la proposta politica e l'attività sul campo del PCL è il compito che ogni sincero comunista e ogni sincero rivoluzionario deve sentire prioritario e imprescindibile.


Mario Capecchi - PCL Pistoia